In occasione della “Camminata Bianca Silenziosa” (https://benedicta.org/camminata-bianca-silenziosa/) organizzata da Sestuko e Michele Dellaria sul sentiero che ripercorre i luoghi dell’ esistenza di Anna Ponte e della sua famiglia a Capanne di Marcarolo, l’Associazione Memoria della Benedicta ha pensato di pubblicare un approfondimento andando a consultare i materiali custoditi presso il suo Archivio Digitale.
a cura di Chiara Lombardi e Gianluca Marcon.
Iniziamo con un contributo video del prof. Vittorio Tigrino dell’Università del Piemonte Orientale che suggeriamo, qualora occorresse chiarire meglio il ruolo che la strage della Benedicta ebbe nel contesto della guerra di Liberazione, con una attenzione particolare al versante genovese della storia.
Nei giorni intorno al 7 aprile 1944, il destino della famiglia Ponte si infrange contro gli eventi che maturarono all’ indomani dell’occupazione nazista del nord Italia e alla nascita e allo sviluppo del movimento resistenziale nell’Appennino ligure-piemontese.
Queste montagne dove i Ponte, faticosamente, conducevano un’ esistenza scandita dai ritmi tradizionali della vita contadina di un tipo di società ormai scomparsa, saranno lo scenario del rastrellamento e della strage della Benedicta.
La famiglia Ponte a Capanne – Archivio fotografico ANPI Pontedecimo
Le conseguenze determinate dal rastrellamento, per la famiglia Ponte furono particolarmente drammatiche. La cascina presso la quale risiedevano, la cascina Porassa, in località Capanne Superiori, fu perquisita e da essa furono sequestrati tutti i beni di famiglia. Accusati dai nazisti di essere complici dei partigiani, fatti oggetto dell’ attenzione di alcune spie, il fratello di Anna, Giovanni, verrà fucilato sul posto in località Costa Lavezzara, nei primi giorni del rastrellamento, mentre Anna e altri due fratelli, verranno arrestati e condotti presso il carcere di Marassi a Genova. Anna, tra l’ altro, passerà il primo periodo di detenzione presso la tristemente nota “Casa dello Studente” di Genova, quartier generale delle SS, dove gli arrestati per ragioni politiche, venivano sottoposti all’ interrogatorio e brutalmente torturati.
La cascina Porassa – Archivio fotografico ANPI Pontedecimo.
La Cascina Porassa su Google Maps
Carlo Demenech, nome di battaglia Lindo, nato a Campomorone (GE) nel 1925, commissario politico del 5° distaccamento della III Brigata Garibaldi Liguria, operante nella zona di Capanne di Marcarolo, con sede presso la Cascina Grilla (Monte Pracaban), scampato al rastrellamento dell’aprile 1944, diviene nuovamente commissario politico del 5° distaccamento “Nino Franchi” della Divisione Mingo, che nei mesi successivi all’eccidio della Benedicta, diventa la principale formazione partigiana dell’area circostante l’Ovadese.
Nel dopoguerra, De Menech assume il ruolo di Vice Questore a Alessandria e inizia uno straordinario lavoro di registrazione e sintesi di 170 testimonianze di sopravvissuti alla strage, raccolte e ordinate in un archivio negli anni 70’ del Novecento. Tra queste ritroviamo il racconto di Anna e di suo fratello Angelo:
La testimonianza di Anna:
https://www.isral.it/wp-content/uploads/2019/06/PONTE-Anna.pdf
La testimonianza di Angelo:
https://www.isral.it/wp-content/uploads/2019/06/PONTE-Angelo.pdf
Giovanni Ponte, il fratello di Anna, assassinato a Costa Lavezzara – Archivio fotografico ANPI Pontedecimo.
Leggendo la testimonianza di Angelo in rapporto alla figura di Anna, sarebbe molto interessante condurre un approfondimento storiografico sulla figura di questa giovane donna e sull’atteggiamento che ebbe durante i giorni che precedettero il rastrellamento, in quel periodo breve, in cui interagì attivamente con i partigiani, a Capanne di Marcarolo.
Il ricordo e la memoria a proposito di Anna, è giunta, a chi scrive, velata da un certo “romanticismo stereotipante”. Frasi tipo “era la ragazza che faceva le tagliatelle ai partigiani” oppure: “L’unica responsabilità di Anna? Quella di aver cucinato per i partigiani”, hanno accompagnato per anni il racconto su di lei.
Eppure, la testimonianza di Angelo, parla di una donna che avrà il coraggio di rivolgersi direttamente a un SS per chiedere notizie del fratello. Inoltre emerge una collaborazione evidente tra la famiglia Ponte e i partigiani. Angelo riferisce che lui e i suoi cari, nel trasporto verso Masone, il tragitto che si concluderà a Genova con l’arresto dei tre fratelli, ebbero a un certo punto il tempo di concordare cosa dire durante l’ interrogatorio. C’è poi la vicenda legata all’occultamento dei cadaveri di alcuni soldati tedeschi uccisi dai partigiani.
Qui è Demenech, che in una nota, ci riferisce come Angelo faccia capire dai gesti che accompagnano il suo discorso che loro, i contadini, sapevano dove si trovavano quei cadaveri. In fine è Anna a dirci che dei tre fratelli fu lei a essere trattenuta più a lungo in carcere, “poiché aveva le colpe più grandi”.
Abbiamo poi la sbobinatura di una intervista più recente, sempre di Anna, raccolta da Giampiero Armano agli inizi degli anni 2000, dice Anna:
C’era i partigiani vicino alla nostra casa,[…] poi il giorno 19 marzo mi hanno detto se gli facevo i tagliatelle e ci ho fatto i tagliatelle: 18 sfoglie, li ho tagliati poi sono venuti a prenderli e li hanno portati al distaccamento[…], facevamo il pane poi c’era il forno, io li aiutavo e lo portavano nella sua……dov’erano.. per mangiare, poi saranno stati due mesi lì, mi pare, poi un giorno i partigiani sono venuti in Praglia, […] tre tedeschi li hanno presi e portati al distaccamento, ed è passato mio fratello quello lì che hanno ucciso e ci hanno detto: “abbiamo preso tre tedeschi” poi lui è venuto a casa e ci ha raccontato così che c’erano dei tedeschi…ma noi non sapevamo niente…poi ci mancavano questi tedeschi quando hanno cominciato a fare questo rastrellamento e loro poi hanno detto che i tedeschi li hanno uccisi e li hanno seppelliti giù sotto il distaccamento dove erano, io non so dove erano tra l’ altro prima di uccidere i tedeschi i partigiani avevano preso delle spie, dicevano che erano delle spie e ne avevano ucciso due o tre [….], che poi quando è avvenuto il rastrellamento che sono venuti…il rastrellamento è cominciato al giovedì, al giovedì mattina hanno cominciato il rastrellamento e mio fratello, erano tre fratelli e l’ ultimo Giovanni che era ferito dalla Russia era a casa in convalescenza è uscito di casa per la paura, l’ hanno preso e l’ hanno portato sul monte Lavezzara lì ci hanno sparato […].Il giorno 10 sono arrivati i tedeschi[…]e ci hanno portato via, dove c’erano questi tre , le fosse, ma non erano i tedeschi hanno detto poi. […] ci hanno fatto scavare con le mani e poi ci hanno portati su nella casa e hanno preso due buoi da 10 quintali tutta la biancheria, c’era di tutto e hanno portato via tutto e siamo partiti io Angelo e Stefano e ci hanno fatto andare a Masone, a Masone ci hanno caricato e siamo andati alla casa dello studente.[…]Ci siamo stati 5 giorni, io ci sono stata 5 giorni i miei fratelli non lo so di sicuro, poi ci hanno portato a Marassi, io a Marassi ci sono stata 59 giorni[…]. Tanti interrogatori alla casa dello studente a Marassi no, […]alla casa dello studente, tutte le mattine e volevano sapere cosa avevo fatto,[…]hanno tirato fuori un libro, che era tutto scritto cosa ho fatto io, il mangiare che ci ho fatto, il pane, le tagliatelle, tutte quelle cose lì, e dicevano che avevo più colpe rispetto ai miei fratelli perchè sapevo dove erano i tedeschi[…] , però non mi hanno fatto delle torture, sentivo tutta la notte le torture, non sapevo che erano torture, l’ ho saputo dopo,sentivo gridare alla casa dello studente e io avevo la cella così,[…]io avevo la cella così:non mi potevo né sedere…. stare sempre in piedi.[…]A Marassi eravamo in cinque due […] di Ceva che poi sono andati a finire in campo di concentramento, una di Sanpierdarena e una di Bordighera[…]tutte ostaggi per aver aiutato. Poi il giorno 18 maggio ci hanno svegliato la sera e ci hanno portato giù in cortile, c’eravamo tanti e..e ci hanno fatto..ogni mezz’ora[…]…e siam stati lì..ogni tanto ne prendevano tre e li portavano via e basta, e non si vedevano più,[…]poi siam rimasti ancora tre o quattro, […] ci hanno riportato di nuovo nelle celle dove eravamo prima, e quelli li hanno portati sul Turchino.[…]
Sono andata via al 10 aprile e sono ritornata dopo 59 giorni al 9 giugno…eh!…I fratelli li ho trovati a casa tutti e due, mio fratello Angelo, non l’ho più conosciuto, eravamo proprio…Angelo pesava 55 chili. Io non lo sapevo che avessero ucciso mio fratello,[…]allora c’era ancora la cosa che facevano lutto, e la suora mi ha detto venga un po’ a vedere le faccio vedere sua sorella,[…] mia sorella l’ho vista, passava il ponte tutta vestita di nero,e ho detto alla suora: ma come mai che mia sorella è tutta vestita di nero?E lei mi ha detto , te non lo sai ma è morto tuo fratello, [….] hanno ucciso tuo fratello e lì mi son sentita male, mi hanno tenuta un po’ in infermeria…va bè!..è andata così[…]…e però dico con tutto quello che abbiamo passato, che non ci sia stato, di non prendere né un soldo di tutto quello che ci hanno portato via, siamo stati in prigione…i buoi se li sono mangiati loro e noi che siamo stati lì..nè una pensione, niente, finito lì, finito tutto[…]
Anna con suo fratello Giovanni, presso la madonna della Guardia, Genova– Archivio fotografico ANPI Pontedecimo.
Un altro aspetto, che riguarda i sentimenti di Anna, su cui varrebbe la pena riflettere, risiede nella frase che chiude la sua testimonianza. Anna il giorno del suo arresto ha assistito alla distruzione della sua casa e alla requisizione di tutti i beni della famiglia: il carro, gli animali perfino le suppellettili. Uno dei suoi fratelli verrà brutalmente assassinato, lei subirà il carcere e assisterà allo struggimento dei propri genitori. La chiusura del suo discorso è amara “…e però dico con tutto quello che abbiamo passato, che non ci sia stato, di non prendere né un soldo di tutto quello che ci hanno portato via, siamo stati in prigione…i buoi se li sono mangiati loro e noi che siamo stati lì..nè una pensione, niente, finito lì, finito tutto…”
Nell’ 80° anniversario della liberazione dal nazi-fascismo, queste poche e incomplete riflessioni su come la memoria di Anna e il suo ricordo possano essere investigate sotto una luce nuova, suggerisce quanto ancora queste memorie e il loro studio possano contribuire a comprendere problematiche e a suggerire riflessioni su nodi non soluti e su questioni ancora aperte della nostra storia.
La questione del ruolo che le donne ebbero nella Resistenza è un argomento centrale per comprendere come il movimento antifascista organizzò la lotta contro il nazifascismo. La riflessione sul filtro ideologico con il quale all’indomani della Liberazione, questa storia è stata tramandata può, invece, aggiungere un contributo importante per lo studio delle contraddizioni che ancora incombono sulla società di oggi, dove il problema del non riconoscimento della parità e dell’uguaglianza tra i sessi resta aperto, bruciante, insoluto.
Molto sappiamo di Giacomo Buranello, di Boro, del comandante Odino e degli eroi che combatterono e morirono alla Benedicta per restituirci la libertà. Molto meno della comunità che abitava a Capanne di Marcarolo nei giorni del rastrellamento.
Una società agricola, sopravvissuta per secoli alla dura vita di montagna, ai cattivi raccolti, progressivamente indebolita dall’ affermarsi dell’economia del profitto a scapito di quella basata sulla sussistenza…Un luogo chiamato Capanne..che è il titolo dell’ unico breve saggio, in cui Diego Botta e Franco Castelli, provano a riannodare i fili di una storia sociale e ambientale di lungo corso.
https://www.isral.it/luoghi-della-memoria/il-sacrario-della-benedicta/un-luogo-chiamato-capanne/
Questo mondo verrà investito, nel giro di trent’anni dalle conseguenze catastrofiche di due guerre mondiali, che spezzeranno la sua fragile economia e sottrarranno alle famiglie, due generazioni di giovani uomini, nel pieno del vigore, indispensabili al sostentamento della comunità.
Un colpo dal quale non si riprenderà mai più.*
*Per un approfondimento su abbandono e patrimonializzazione: Vittorio Tigrino, La storia dell’ ambiente come storia applicata: dinamiche dell’ abbandono e della patrimonializzazione in Quaderno di storia contemporanea n.73 del 2023, ISRAL, ed. Falsopiano, p. 165.