I VOLTI della MEMORIA: dalla Benedicta a Mauthausen

Introduzione

In occasione del “Giorno della Memoria 2025” abbiamo pensato di proporre un racconto che permetta di comprendere, su scala generale e nell’applicazione a un caso concreto, la specifica funzione svolta dallo strumento della deportazione verso i campi di concentramento, nel più generale disegno repressivo applicato dai nazisti verso gli oppositori. 

Il caso concreto è quello dei circa 200 giovani partigiani, rastrellati durante la Settimana Santa del 1944 nei pressi della Cascina “Benedicta”: che invece di essere immediatamente passati per le armi, come accadde a oltre 150 loro compagni di guerriglia catturati nella medesima occasione, furono fatti prigionieri e avviati al campo di concentramento di Mauthausen (e ai suoi sottocampi di Linz, Melk, Gusen).

Il racconto, di questa parte forse meno nota della vicenda “Benedicta”, è realizzato attraverso video, cartine, fotografie e ci accompagna al commovente primo piano di alcuni dei volti dei giovani deportati. Come si comprenderà nello sviluppo della narrazione, oltre all’esposizione dei documenti, l’Associazione “Memoria della Benedicta” lancia, attraverso questa operazione, un appello rivolto a tutte e tutti: comunità locali, famiglie, congiunti, amici e amiche, testimoni a qualunque titolo. Un appello finalizzato a mobilitare ulteriori acquisizioni di fotografie, documenti, notizie biografiche che ancora mancano, per esercitare tutti insieme “la manutenzione della Memoria” e restituire ai protagonisti della storia, volti, vite, movimento, più di quanto possa fare, sia pure fondamentale e prezioso, un semplice elenco di nomi.

Prima di cominciare un sentito ringraziamento all’ISRAL, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in Provincia di Alessandria “Carlo Girardenghi”, per i preziosi consigli e per la messa a disposizione del repertorio fotografico, custodito nei suoi archivi, e in particolare a Cesare Manganelli che alla deportazione nella provincia di Alessandria ha dedicato parte rilevante del suo lavoro di storico. Un ringraziamento a Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni Villari, autori del testo I ribelli della Benedicta, percorsi, profili, biografie dei caduti e dei deportati”, Edizioni Archetipolibri, Bologna, 2011, pubblicato a suo tempo su impulso della nostra Associazione, allora presieduta da Giampiero Armano. Un volume ancora fondamentale e insuperato per completezza e precisione storica: dal quale abbiamo attinto i dati e le informazioni per realizzare questo contributo.

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I ruderi della Cascina Benedicta, sede dell’ intendenza partigiana della Brigata Liguria, che le truppe nazifasciste fecero esplodere, nei giorni del rastrellamento.

 

Giorno della Memoria e deportati della Benedicta

Intervista a Daniele Borioli, storico e Presidente dell’Associazione Memoria della Benedicta.

 

PROVINCIA DI ALESSANDRIA: IL RASTRELLAMENTO DELLA BENEDICTA E LA STRATEGIA “ORIENTALE” DI ELIMINAZIONE DEL NEMICO

Intervista a Cesare Manganelli, storico e Presidente della biblioteca dell’ISRAL (prima parte).

 

Cartina Benedicta

Questa mappa illustra in che modo si svolse il rastrellamento della Benedicta. I reparti nazisti e fascisti mossero dalle principali località di fondo valle in contemporanea, per convergere presso la località Capanne di Marcarolo. Durante questo spostamento praticamente tutti i giovani uomini, che le truppe sorpresero sul loro cammino, vennero: o fucilati sul posto, o arrestati e fucilati successivamente, oppure ancora arrestati e deportati. Un capitolo a sé, non ancora compiutamente indagato ma certo di non secondaria consistenza, riguarda il destino del contingente di deportati non direttamente coinvolti nella guerriglia partigiana, e spontaneamente, o su impulso delle rispettive famiglie, presentatisi alle autorità nazifasciste nei giorni successivi al rastrellamento. Sulla loro storia e sulla loro sorte, incombono ancora irrisolte molte domande: quanti furono coloro che arrivarono ai campi di concentramento attraverso questa dinamica; quanti, invece, riuscirono a fuggire durante il trasporto, secondo il racconto di alcuni episodi di fuga, anche numericamente consistente, verificatisi grazie all’aiuto del personale ferroviario in particolare intorno al nodo di Milano. Un tema sul quale ancora non si possono fornire risposte precise, ma che merita senz’altro di essere approfondito.

 

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Dalla Benedicta a Mauthausen, intervista a Cesare Manganelli, storico e Presidente della biblioteca dell’ ISRAL (seconda parte).

 

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L’itinerario percorso dal convoglio della deportazione avviato da Genova l’ 8 aprile 1944, mossosi poi da Novi Ligure il 12 aprile, per giungere a Mauthausen il 16 aprile 1944.

 

I RIBELLI DELLA BENEDICTA : I DEPORTATI

 

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La provenienza

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Di 187 deportati 63 provenivano dalla provincia di Alessandria e 98 da quella di Genova; 5 erano originari delle province del Piemonte e della Lombardia confinanti con la provincia di Alessandria, i restanti, escludendo quelli di cui non abbiamo dati certi, in numero di 16, provenivano da varie province del sud Italia. Si trattava prevalentemente di militari in servizio nel Nord-Ovest allorché intervenne l’armistizio dell’8 di settembre, che impedì loro il rientro, in quanto i loro luoghi di provenienza, erano posti al di là della linea del fronte, che separava l’Italia occupata dall’esercito tedesco da quella progressivamente liberata dall’avanzata delle forze alleate angloamericane

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In questa cartina sono cerchiati in rosso i paesi di provenienza dei ribelli della Benedicta, tra Provincia di Genova e Provincia di Alessandria, con il numero dei deportati laddove questo numero risultasse superiore a 2.

Come si vede, dei 63 della Provincia di Alessandria, ben 29 erano originari di Voltaggio, il paese più colpito; seguito da Mornese, con 12 deportati. Guardando i numeri del censimento del 1936, Voltaggio contava 1667 residenti, Mornese 1256. Risulta evidente il significato drammatico di questi dati sugli equilibri demografici di questi villaggi. Per quanto riguarda il Genovesato, il dato di gran lunga più impressionante è quello di San Martino in Paravanico: 33 deportati su una popolazione, nel 1936, di 3505 abitanti. Inoltre, il caso di San Martino induce a riflettere su un altro aspetto della deportazione. Infatti, tra i deportati del villaggio è molto alta la sequenza dei fratelli. Date le dimensioni ridotte dell’insediamento urbano e la frequenza molto alta di due cognomi, Rossi e Parodi, è evidente che gli intrecci parentali risultano particolarmente evidenti riflettendo la portata del dramma a cui assistette questa piccola comunità.

 

La giovane età

  • 1924    n. 34
  • 1925    n. 32
  • 1923    n. 27
  • 1922    n. 24
  • 1914    n. 14         
  • 1921    n. 10
  • 1916    n. 10
  • 1917    n.   9
  • 1915    n.   7
  • 1919    n.   7   
  • 1920    n.  

Altri 7 deportati si suddividono: 2 per ciascuno degli anni 1926 e 1918; 1 per ciascuno degli anni 1908 e 1910; mentre 1 anno di nascita risulta incerto.

Il totale e di 187 deportati.       

 

Come si vede, la gran parte dei deportati della Benedicta appartiene alle classi comprese tra il 1922 e il 1925, secondo una dinamica nella quale va colta, oltre alla connotazione generale della “giovane età”, la specificazione dell’età corrispondente alle classi più direttamente coinvolte nei bandi di richiamo alle armi: la renitenza ai quali fu in generale la molla che fece scattare il gran numero delle adesioni alla lotta partigiana, in particolare dal febbraio 1944. Secondo questa chiave di lettura, il dato anagrafico ricalca per grandi linee analogo andamento rispetto ai fucilati nel corso del rastrellamento, concentrando nelle classi chiamate alle armi 117 dei 187 dei deportati, pari a oltre il 62%.

Di quella umanità, Il più anziano era Umberto Fresia e aveva 35 anni. I più giovani erano due ragazzi del 1926, avevano 18 anni.

 

L’ambiente sociale e l’affiliazione

L’ambiente sociale di provenienza traspare dai mestieri che i giovani deportati svolgevano prima di salire in montagna. Il dato è parziale, poiché per 77 di loro non abbiamo informazioni circa la professione, nonostante questo è interessante rilevare che 41 di loro, il 37,3 % erano agricoltori, provenienti in maggioranza dai paesi di media montagna, soprattutto della provincia di Alessandria, 23 erano operai (24,5 %), di cui 7 specializzati, riconducibili in maggioranza al genovesato, 10 gli artigiani, 6 gli studenti. 

Osservando i dati legati alle affiliazioni certe, relative alle due brigate operanti alla Benedicta nei giorni del rastrellamento, il 62,1 % dei deportati apparteneva alla “Brigata autonoma Alessandria”, mentre il 37,9 % alla Brigata Garibaldi Liguria. Questi dati corrispondono alle percentuali di affiliazione dei fucilati, cosa che sembra confermare una miglior capacità della Garibaldi di eludere, forse anche per ragioni fortuite, le maglie del rastrellamento, essendo composta, tra l’altro da un numero di effettivi più alto rispetto alla Brigata autonoma.

 

LA MANUTENZIONE della MEMORIA:

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Mauthausen, lapide in ricordo di tutti i morti.

Questo link contiene alcune foto e i dati minimi dei ribelli della Benedicta deportati a seguito del rastrellamento avvenuto nei giorni intorno al 6 aprile 1944.

Come si vede, mancano molte fotografie, di tutti possediamo invece, alcune notizie biografiche, grazie al pregevole lavoro di Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni Villari, realizzato nel 2011 e che l’Associazione Memoria della Benedicta provvederà a inserire per ogni nome all’interno di questo sito.

Il nostro appello, a concorrere con noi nel lavoro di “manutenzione della memoria” riguarda in particolare il completamento dei “ritratti dei ribelli”. E insieme ad esso l’implementazione di tutte le notizie di cui ancora non siamo in possesso a proposito delle loro giovani vite. Per questo ci rivolgiamo a tutte e tutti.

” Diamo un volto a questi nomi!

 

Diamo un volto ai deportati della Benedicta

 

Il Fondo De Menech

La storia della Benedicta vede protagonisti giovani ragazzi (contadini, studenti, operai) che si ritrovarono catapultati nell’esperienza più dura e significativa della loro vita. Le loro storie, così diverse, si intrecciarono con quelle degli abitanti dei luoghi che li hanno ospitati, e sono stati teatro del loro “apprendistato” partigiano, fino al tragico epilogo. Molti dei racconti e delle testimonianze che i protagonisti ci hanno lasciato a proposito di quel periodo, però, vanno oltre il pur cruciale episodio dell’eccidio: parlano della deportazione, di com’era la vita nei campi di concentramento, di cosa sono stati il “dopo-Benedicta” e il dopoguerra”.

Queste testimonianze, fondamentali per ricostruire “la Storia”, sono state pazientemente registrate su una trentina di cassette audio: testimonianze, ritagli di giornali, appunti, fotografie e memorie personali, che sono andate a comporre il “Fondo De Menech”.

Carlo De Menech nasce a Campomorone (GE) nel 1925 e, unitosi alle neonate bande partigiane, assume il nome di battaglia Lindo. Commissario politico del 5° distaccamento della III Brigata Garibaldi Liguria, operante nella zona di Capanne di Marcarolo, con sede presso la Cascina Grilla (Monte Pracaban).

Scampato al rastrellamento dell’aprile 1944, diviene nuovamente commissario politico del 5° distaccamento “Nino Franchi” della Divisione Mingo, che nei mesi successivi all’eccidio della Benedicta diventa la principale formazione partigiana dell’area circostante l’Ovadese. Nel dopoguerra, De Menech assume il ruolo di Vice Questore di Alessandria e negli anni ’70 del secolo scorso, decide di cimentarsi nella raccolta di testimonianze, da alcune delle quali abbiamo attinto gli spunti e le notizie necessarie a questo primo breve lavoro sulla deportazione collegata alla vicenda della Benedicta.

Il “Fondo De Menech” costituisce oggi uno strumento fondamentale per ricostruire con attenzione quanto accaduto nella settimana di Pasqua del 1944, tra il Tobbio, le Capanne di Marcarolo, nel corso di quella tragica pagina passata alla storia come “eccidio della Benedicta”. Oggi, il fondo è conservato presso l’archivio dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea (ISRAL) “Carlo Gilardenghi”: le sintesi delle testimonianze sono state digitalizzate e pubblicate sul sito. E’ difficile selezionare le più interessanti e significative, in quanto si narrano vite e destini di moltissimi giovani, di intere famiglie, di mogli e madri che speravano di rivedere il proprio caro ritornare a casa sano e salvo.

Molte delle storie conservate nel “Fondo De Menech” riguardano il capitolo della deportazione, e in particolare della deportazione a Mauthausen di molti dei giovani rastrellati dai nazifascisti alla Benedicta.

Tra le numerose testimonianze, ci possiamo soffermare, ad esempio, sul racconto di Carlo Rossi , che ricorda la vicenda di 42 giovani innocenti che, presentatisi per un controllo di documenti al comando tedesco, furono deportati nei campi di concentramento nazisti.

Oppure la storia di Luigi Salerno: un soldato di Satriano, in provincia di Catanzaro che, abbandonata la divisa dopo l’8 settembre, si ritrova a Pontedecimo vicino a Genova, e decide di salire in montagna come partigiano presso la Cascina Grilla a Capanne di Marcarolo, assumendo il nome di battaglia Luna.

E ancora il tragico destino dei fratelli Pesce, scampati alla fucilazione del 7 aprile, ma che vennero entrambi deportati al campo di concentramento di Mauthausen e fecero più ritorno.

Molti, catturati durante il grande rastrellamento dell’aprile del 1944, raccontano il loro viaggio sui treni bestiame, la loro permanenza nei campi nazisti  e il loro viaggio di ritorno verso casa: è l’esempio di Pio Cerruti, classe 1915 che, deportato con altre centinaia di ragazzi a Mauthausen, fece a piedi circa trecento chilometri per tornare a casa sua, a Isoverde in Provincia di Genova.

Infine, se si parla di Benedicta e deportazione, non si può non parlare di Giuseppe Ennio Odino (nome di battaglia Crik): partigiano, fucilato alla Benedicta ma miracolosamente scampato alla morte, catturato nuovamente e deportato a Mauthausen: dove divenne organizzatore e protagonista della resistenza interna al campo. Una biografia esemplare la sua, affidata alcuni anni fa ad un volume edito dall’Associazione “Memoria della Benedicta”, con il titolo “La mia corsa a tappe”, allusivo alla sua passione per la bicicletta e alla sua vita esemplare, tra Resistenza, salvezza, deportazione, fuga: i quattro capisaldi essenziali in cui si condensa la storia della Benedicta.

 

 

Giorno della Memoria 2025
I deportati della Benedicta