Nato a Milano, l’8 ottobre 1924, di Romolo e di Enrichetta Maria Morea.
Giunge a Mauthausen il 16 aprile 1944.
Primo numero di matricola 63860; mestiere dichiarato in KL scrivano; classificato con la categoria Schutz.
Trasferito a Zement-Ebensee (Mauthausen) il 19 ottobre 1944.
Deceduto a Ebensee (Mauthausen), il 30 gennaio 1945.
Fonte: D’amico, Mantelli, Villari, I ribelli della Benedicta, percorsi, profili, biografie dei caduti e dei deportati, Archetipo libri 2011.
Muore, nel lager di Ebensee, Vittorio Sacripanti. Nato a Milano l’8 ottobre 1924, la sua famiglia si era trasferita da Milano a Rossiglione nel 1942, forse per scappare dai pericoli della guerra in una grande città. Abitavano in via Balbi e Vittorio Sacripanti venne assunto come impiegato al Cotonificio Ligure. Fu catturato, mentre lavorava dentro lo stabilimento, durante il rastrellamento della Benedicta nell’aprile 1944. Le circostanze della sua cattura, parecchio movimentate, sono documentate nei diari che tenevano le suore di Maria Ausiliatrice che gestivano il convitto (istituto di istruzione, educazione e lavoro che forniva anche vitto e alloggio) interno allo stabilimento del Cotonificio Ligure.
Scrivono infatti, il 7 aprile: “Nel pomeriggio di quest’oggi una squadra di tedeschi con la rivoltella in pugno si presentarono alla Signora Direttrice con l’intimazione di essere subito condotti in Cappella. Stupite e impressionate per quel modo così minaccioso ci affrettammo a condurli. Arrivati in cappella frugarono in ogni angolo, assicurando che un giovane ribelle doveva trovarsi in convitto e non trovandolo in chiesa girarono tutta la casa mettendo in aria ogni cosa. Noi eravamo certissime che non vi era proprio nessuno e si sperava che la cosa finisse così, invece arrivate nel nostro refettorio il Maresciallo afferrò la Direttrice e con la rivoltella in faccia, urlando come una belva, voleva gli dicesse ove il giovane si trovava, mentre Essa continuava a protestare che non sapeva. Il buon Dio non permise che quella scena terribile continuasse, perché il giovane che aveva rotto l’inferriata della sua abitazione per nascondersi nel nostro cortile, era uscito dal suo nascondiglio e si era presentato. Allora la furia del maresciallo si rivolse verso di lui, lasciando libera la direttrice. Tra calci e percosse il disgraziato giovane (non ribelle ma renitente) fu trascinato via e con lui le suore e le ragazze, senza un momento di tregua, conducendo tutti in prigione sotto la sorveglianza dei carabinieri. Riavute dallo spavento di trovarci in una cella piccolissima e buia si sperava che almeno lasciassero aperta la porta, invece i carabinieri dovevano chiuderla, perché così aveva ordinato il maresciallo. Mio Dio come doveva finire questo Venerdì Santo!
L’indomani mattina veniamo ricondotte in convitto sotto sorveglianza. Si sperava che la cosa finisse bene, perché nessuna di noi era responsabile e facilmente sarebbe venuta fuori la verità. Invece nel pomeriggio di quest’oggi ci aspettava una nuova sofferenza. Ci chiamarono tutte per farci subire l’interrogatorio e fatte salire su di un camion fra soldati armati, ci condussero a Masone presso il comando superiore. Scese davanti alla porta sulla via, furono due ore di penosa attesa, perché il comando era occupato per l’arrivo dei ribelli, questi disgraziati dopo un breve giudizio erano condotti in un prato vicino e subito finiti, “caput” (morte) ripetevano i soldati appena tornavano dall’impresa. Ad un tratto arrivò una camionetta con un morto sopra, forse caduto combattendo, “caput” (morto) ripeterono anche per questo. Pareva un sogno terribile e finalmente venne il nostro turno. Si entrava due per volta, il contegno e l’aspetto degli ufficiali che ci ricevevano era mite e quasi gentile. Finita la pratica ci lasciarono subito in libertà, ma si faceva notte e bisognava fare otto chilometri di strada a piedi. Non importa basta andare via di là eravamo pronte a tutto, con la pena però di dover lasciare le ragazze, il giovane e la sua madre, che dovevano ancora essere interrogati.”
Il giorno 11 aprile il comando tedesco a Villa Bagnara libera anche le ragazze convittrici, mentre Vittorio Sacripanti si trova invece rinchiuso a Novi Ligure, a Villa Rosa, da dove, il giorno dopo, fece giungere questa lettera alla famiglia: “Carissimi genitori, dopo lo spavento che avete provato spero che ora sarete tutti calmi, io mi sono rassegnato al mio destino: parto per la Germania come lavoratore. Trattamento come tutti i lavoratori. Vittorio”.
Di lui non si seppe più niente e non lo rivide più nessuno. Grazie alla precisa delazione che lo aveva fatto catturare, morì il 30 gennaio a Ebensee, sotto campo di Mauthausen. Aveva 20 anni. Il suo sacrificio è onorato in una lapide nel Campo della Gloria ai Caduti per la Libertà del Cimitero Maggiore di Milano.
Fonte bibliografica: Anpi di Rossiglione